MILGRAM: l'obbedienza e autorità

 New Haven (Connecticut), una tranquilla mattina del 1961. Su un giornale locale compare un interessante annuncio: lo psicologo statunitense Stanley Milgram ( 1933-1984), l'epoca professore all'università di Yale. cerca 500 persone di sesso maschile tra i 20 e 50 anni, disposte a offrire, in cambio di 4 dollari più il rimborso spese, un'ora del loro tempo per partecipare a una ricerca scientifica su memoria e apprendimento. Chi fosse interessato trova nella stessa pagina il modulo di partecipazione da compilare e inviare. Comincia cosi uno dei più interessanti e al tempo stesso, inquietanti esperimenti di psicologia sociale. Milgram era all'epoca un giovane professore di 27 anni; a spingerlo a  condurre questa ricerca— che non verteva in realtà su memoria e apprendimento, ma sull'influenza sociale esercitata dall'autorità - era una riflessione sull'obbedienza come fattore importante nella genesi del comportamento, e soprattutto sulle forme più che l'obbedienza assume all'interno della vita associata. La Seconda guerra mondiale era finita da non molti anni e aveva visto milioni di persone sterminate da altri individui (soldati, kapò, medici, infermieri) che si erano in seguito giustificati sostenendo di avere obbedito a ordini superiori. Ma è davvero possibile, si chiedeva Milgram, che il principio dell'autorità sia così potente da azzerare il codice morale e la sensibilità del soggetto.

Obbedienza all'Autorità ed Empatia: Stanley Milgram


All'annuncio si presentarono volontari provenienti dalle fasce sociali più disparate:

- maestri, 

- impiegati, 

- operai, 

- ingegneri


 Milgram li divise in 3 gruppi corrispondenti a diverse categorie professionali, avendo cura che in ognuna di esse fossero rappresentate le diverse fasce di età (minori di 30 anni, dai 30 ai 40, dai 40 ai 50). 


Alla ricerca partecipavano però anche due soggetti complici, cioè addestrati da Milgram a recitare una parte ben precisa: 

-> un signore dall'aspetto professionale interpretava il ruolo dello "sperimentatore", addetto a condurre l'esperimento

-> un uomo di mezza età venne presentato ai partecipanti ignari come l'”allievo" impegnato in un'attività di apprendimento, di cui ognuno di loro, in qualità di "insegnante", avrebbe dovuto monitorare le prestazioni. 


Nello svolgimento dell'esperimento l' "insegnante" e l' "allievo" si trovavano in stanze attigue: potevano comunicare a voce, ma non si vedevano fisicamente. Al primo fu spiegato che avrebbe dovuto far imparare a memoria al compagno una lista di termini, e che a ogni errore commesso avrebbe dovuto punirlo somministrandogli scosse elettriche progressivamente più intense (fino a un massimo di 450 volt) tramite un sistema di leve collegato al corpo dell'allievo grazie a degli elettrodi. Naturalmente si trattava di una finzione: le leve non erogavano alcuna scossa, ma il soggetto ignaro non poteva saperlo.

Una volta iniziata la prova, l'allievo-complice cominciava deliberatamente a dare risposte sbagliate, mettendo così l'insegnante ignaro nella  condizione di dover eseguire mettendo le istruzioni ricevute.  A  ogni scossa, l'allievo fingeva di lamentarsi, con gemiti che si facevano sempre più strazianti, via via che le scosse avrebbero dovuto essere più intense. Di fronte al disagio manifestato dal soggetto ignaro, interveniva lo sperimentatore-complice, che ribadiva la necessità di portare a termine la prova con frasi del tipo: «Prego, vada avanti», oppure: «L'esperimento esige che lei continui».


L'esperimento di Milgram - L'obbedienza all'autorità - Reccom Magazine



Prima di svolgere l'esperimento, Milgram cercò di ottenere una previsione sui suoi risultati, illustrando la situazione sperimentale a un gruppo di persone convenute a una conferenza sul tema 'obbedienza e autorità" e chiedendo loro quale sarebbe stato, a loro giudizio, l'esito della prova. Tutti gli interpellati pronosticarono che i soggetti sperimentali, salvo pochi casi patologici, avrebbero rifiutato di obbedire a un ordine così atroce; a sostegno di tale previsione adducevano la convinzione che, in assenza di una concreta minaccia fisica, le persone sono in grado di decidere autonomamente i comportamenti da attuare.

In realtà i risultati dell'esperimento furono ben diversi: il 62,5% dei soggetti ignari, pur con evidenti segni di turbamento, obbedì alle richieste dello sperimentatore portando delle oscillazioni in rapporto alle variazioni introdotte da Milgram all'esperimento-base (in una, ad esempio, il soggetto complice  esprimeva la propria sofferenza con semplici pugni sulla porta, senza lamenti verbali; in un'altra i soggetti ignari erano tutti di sesso femminile; in un'altra ancora, la parte dello  sperimentatore era sostenuta da un soggetto dall'aria dolce e mite), ma confermava in ogni caso un dato inequivocabile: l'acquiescenza del soggetto ignaro allo sperimentatore, percepito per se stesso come fonte di autorità. Tale autorità scaturiva da prerogative non personali, ma sociali: il ruolo da lui svolto all'interno della prova, la competenza che egli possedeva agli occhi del soggetto ignaro, i valori socialmente positivi (la conoscenza scientifica, la ricerca, il progresso del sapere) che la sua figura incarnava.


Ripetere l'esperimento Milgram 50 anni dopo | the Submarine


Nel libro da lui pubblicato nel 1 974 a resoconto della sua ricerca, Migram non si limitò a raccontarne lo svolgimento e a riportarne i risultati, ma condusse anche una riflessione generale sul problema che l'aveva condotto a intraprendere l'esperimento. la conclusione    a cui giunse è questa: le persone sono sensibili all'influenza dell'autorità molto più di quanto si possa credere e di quanto esse stesse siano disposte ad ammettere preliminarmente. E spesso non è necessario che la figura che rappresenta l'autorità sia dotata di carisma o di prerogative particolari: perché le sue richieste appaiano legittime è sufficiente che essa sia percepita in una posizione "di controllo" all'interno di una data situazione. L'influenza esercitata dall'autorità crea infatti una particolare condizione psicologica, che Milgram definisce stato eteronomico, in cui il senso morale di un soggetto subisce una modifica di fondo: egli si sente responsabile non di ciò che fa, ma  verso la persona che glielo prescrive. Esattamente come accade a un soldato in guerra, il soggetto in stato eteronomico è preoccupato soltanto di "eseguire le consegne' e di farlo nel migliore dei modi. Ecco perché è possibile che persone solitamente tranquille e inoffensive si macchino di azioni atroci, obbedendo a ordini che in altri contesti giudicherebbero disumani e si rifiuterebbero di eseguire.

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